“Il diritto allo studio non può essere rifiutato a nessuno”. Non lascia certo spazio all’incertezza il contenuto dell’art. 2 del protocollo addizionale CEDU allegato alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo firmato nel 1952 a Parigi. Non fa eccezione a tale principio il mondo del lavoro e con riferimento al nostro Paese la fonte normativa precorritrice in materia è lo Statuto dei Lavoratori. Difatti l’art.10 prevede che tutti i lavoratori studenti dipendenti da datore di lavoro pubblico o privato, che siano iscritti e frequentanti corsi regolari di studio (istruzione primaria, secondaria, qualificazione professionale) presso scuole statali, paritarie o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario durante i riposi settimanali.
Inoltre i lavoratori studenti, compresi quelli universitari e che frequentano corsi professionali, hanno diritto a permessi giornalieri retribuiti per sostenere le prove d’esame.
La contrattazione collettiva ha poi recepito la norma generale mettendo a punto una disciplina del diritto allo studio piuttosto omogenea.
Con rare eccezioni, infatti, i contratti collettivi prevedono 150 ore di permessi retribuiti (generalmente in un triennio) per la frequenza dei corsi di studio in aggiunta a permessi retribuiti per tutti i giorni d’esame.
Normalmente a variare a seconda del settore sono: le percentuali dei lavoratori in forza che possono contemporaneamente godere delle ore di permesso; l’arco temporaneo entro cui usufruire della stessa (come già citato generalmente un triennio); i giorni di permesso per la preparazione della prova d’esame; più in generale la disciplina di dettaglio.
Tuttavia se è vero che il diritto allo studio del lavoratore dipendente si muove nel solco di solide garanzie legislative, è anche vero che deve confrontarsi e contemperarsi con l’interesse del datore di lavoro sia pubblico che privato. L’iniziativa economica privata, cosi come il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione e degli enti pubblici, gode di tutele altrettanto solide nel nostro ordinamento.
Nasce così inevitabilmente la questione della concreta fruibilità delle ore di permesso per la frequenza dei corsi di studio, anche e soprattutto in virtù del proliferare di opportunità formative che propongono nuove e più moderne modalità di erogazione dell’insegnamento (e-learning).
La disciplina legislativa del diritto allo studio, si articola essenzialmente su due livelli:
- la concessione dei permessi retribuiti per sostenere le prove d’esame;
- la previsione di carichi di lavoro e di una organizzazione oraria della prestazione che agevoli la frequenza dei corsi e la preparazione degli esami.
Le disposizioni dei Ccnl, seppur migliorative della disciplina dettata dallo Statuto dei Lavoratori, non si muovono al di fuori del perimetro tracciato da quest’ultima. Ciò comporta che le ore di permesso retribuite previste dai contratti collettivi potranno essere fruite solo per la frequenza di quei corsi di studio che abbiano orari coincidenti con quelli di lavoro e non per le necessità connesse alla preparazione degli esami e non per le necessità connesse alla preparazione degli esami o per altre attività complementari (colloqui con docenti, disbrigo pratiche di segreteria, etc.). Per queste ultime ipotesi il diritto allo studio non è assistito dai permessi ma dall’obbligo in capo al datore di lavoro di assegnare turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami ed è escluso, ai fini della stessa agevolazione, l’obbligo del dipendente di eseguire prestazioni di lavoro straordinario durante i riposi settimanali.
Ribadendo che i permessi per motivi di studio possono essere fruiti solo per lezioni e corsi di studi il cui svolgimento sia concomitante con l’orario di lavoro, gli orientamenti applicativi sul tema della partecipazione ai corsi delle Università telematiche prevedono che: la circostanza che il lavoratore non sia tenuto a frequentare il corso in orari prestabiliti, induce a ritenere che ciò possa avvenire al di fuori dell’orario di lavoro con il conseguente venire meno di ogni necessità di fruizione dei permessi di cui si tratta. In questo caso il lavoratore studente, non essendo obbligato a partecipare alle lezioni in orari rigidi, come avviene nell’Università ordinaria, potrebbe sempre scegliere orari di collegamento compatibili con l’orario di lavoro.
Nella stessa logica si muove l’orientamento applicativo che, con riferimento alla frequenza di corsi serali, prevede che il dipendente possa usufruire di permessi solo qualora la sua prestazione lavorativa si svolga in orari coincidenti con quelli del corso.
Ma i permessi previsti dall’art. 10 della legge 300/70 costituiscono solo una parte (probabilmente la più rilevante) della disciplina del diritto allo studio e alla formazione del lavoratore dipendente. Difatti oltre allo Statuto dei Lavoratori rileva in materia anche la legge 53/2000, la quale ha introdotto ulteriori agevolazioni per la formazione culturale e professionale dei lavoratori: i c.d. congedi per la formazione. Secondo l’art. 5 della legge in questione i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati che abbiano almeno cinque anni di anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione possono richiedere, fermo restando quanto previsto dall’art. 10 della legge 300/70, uno speciale congedo per la formazione finalizzato al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea e alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro. Il periodo di congedo non può essere superiore a 11 mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa, può essere fruito in via continuativa o in modo frazionato. Il congedo da diritto alla conservazione del posto e non è retribuito.
Ad ogni modo il datore di lavoro può non accogliere la richiesta di congedo per la formazione ovvero può differirne l’accoglimento nel caso di comprovate esigenze organizzative. Spetta alla contrattazione collettiva il compito di stabilire le concrete modalità di fruizione del congedo in questione, individuando le percentuali massime dei lavoratori che possono avvalersene disciplinando le ipotesi di differimento o di diniego e fissando i termini del preavviso, che comunque non può essere inferiore a 30 giorni.
Giova inoltre segnalare un consolidato orientamento giurisprudenziale che sostiene una interpretazione che non superi i limiti della ragionevolezza nel fissare i perimetri di concessione del diritto alla fruizione dei permessi per studio. A tal proposito si cita la sentenza della Corte di Cassazione sezione lavoro n°19610/2020 che nega la possibilità di utilizzare permessi studio agli studenti fuori corso.
Dopo questa breve ricognizione sul complesso mondo del diritto allo studio e le regole che lo disciplinano, ci permettiamo una riflessione di carattere generale sul tema strategico della formazione.
Nello scenario economico attuale, la differenza significativa per il raggiungimento di reali vantaggi per le organizzazioni, sta nella capacità di gestire e valorizzare le risorse umane. Indipendentemente dalla dotazione di capitale strutturale e relazionale, è possibile affermare che senza la dimensione centrata sull’individuo non è possibile generare valore. È l’azione degli individui, ad essere convertita in strutture di conoscenza. Le persone, infatti, non sono semplicemente uno strumento bensì una fonte di ricchezza che si rinnova, o che comunque ha il potenziale di rinnovarsi in contesti che repentinamente cambiano. Il veloce avanzamento tecnologico comporta l’obsolescenza delle conoscenze di ogni persona, insidiando di conseguenza la conservazione delle specifiche professionalità. Per evitare ciò, esistono degli strumenti che possono essere utilizzati in ambito aziendale, in primo luogo la formazione del proprio personale. D’altra parte, tra le azioni orientate alla gestione della turbolenza del cambiamento, una delle più efficaci è il processo dell’apprendimento organizzativo, attraverso il quale le aziende sviluppano l’identità ed i valori, e delineano le competenze distintive. In questa logica, la formazione assume valore perché implementa la strategia competitiva dell’azienda, da due diversi punti di vista: in primo luogo, aiuta le donne e gli uomini che operano nel contesto organizzativo a sviluppare le competenze necessarie a svolgere compiti ed a crescere professionalmente, fatto questo che influisce direttamente sulle loro prestazioni organizzative; in seconda istanza, offre alle risorse umane l’opportunità di apprendere e di crescere sul piano individuale e personale, favorendo così il clima positivo utile a rendere più fluido e governabile il processo di cambiamento organizzativo, attraverso la motivazione e l’allineamento tra i fini organizzativi ed i moventi individuali. In tempi di crisi le aziende non devono smettere quindi di investire in formazione, ma anzi vederla come leva fondamentale per avviare un processo di aggiornamento continuo e recuperare competitività.
Ovviamente la variabile relativa ai “costi” dei progetti di formazione aziendale diventa un punto nodale nell’ottica dell’equilibrio dei costi dell’impresa. Proprio per questo motivo la nostra associazione opera su due direttrici ben precise; l’una, in coerenza con il mandato di rappresentanza a tutela degli interessi delle Imprese associate, mira a sostenere, in tutte le sedi istituzionali partecipate e nel dibattito socio economico a tutti i livelli territoriali, l’opportunità di rivedere i meccanismi di contributo pubblico a sostegno della formazione aziendale. Non è infatti plausibile che grande parte dei costi della formazione della collettività, in senso ampio, vengano caricati sul sistema delle Imprese. È indubbio che la Pubblica Istruzione ancor oggi rivolga poca attenzione al grande tema di come si preparano le giovani generazioni al mondo del lavoro, facendo gravare gli oneri appunto sulle Aziende ed incidendo quindi sulla competitività delle stesse. L’altra non meno importante direttrice viene perseguita operativamente partecipando e garantendo processi formativi al servizio delle imprese del territorio attraverso la nostra Società ACA FORMAZIONE che mette a disposizione un ampio catalogo di corsi professionali, ma nel contempo è in grado di costruire insieme al cliente il percorso formativo in grado di soddisfare i fabbisogni specifici.
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